giovedì 8 settembre 2011

Altra Europa 2011

Agosto 2011 è arrivato e finalmente si riparte. 


In appena due ore siamo a Skopje e nel pomeriggio già sul Kameni Most. 
Lo scenario rispetto all'anno precedente è stravolto, la città appare un cantiere aperto ed una statua bronzea troneggia: si tratta di un gingantesco guerriero a cavallo di 30 tonnellate per 30 metri di altezza, che rappresenta Alessandro Magno, voluto dal premier Nikola Gruevski al fine di "scaldare gli animi a livello internazionale". E' stata un'azienda italiana a realizzare l'opera.


Ci fermiamo in Macedonia un paio di giorni e decidiamo di visitare Krushevo, graziosa cittadina etnica, molto vivace, dove si trova anche il “tempio” dedicato a Tose Proeski, santificato alla pari di nane Teresa.
Dobbiamo incontrare degli amici a Mavrovo e sostiamo volentieri a Tetovo, che è di strada. 




Nei balconi di ogni casa sono appese lunghe trecce in foglie di tabacco, realizzate e appese dalle donne secondo la tradizione.
Nonostante il grosso e caotico centro sia prettamente moderno non mancano interessanti edifici di architettura islamica.


Vicino al fiume Pena si trova la  Moschea Dipinta, conosciuta come Moschea Aladzha, autentico gioiello del 1459, costruita con le donazioni di due nobildonne musulmane - Hurshida e Mensure - la cui tomba ottagonale si trova all’interno del giardino. 
Di forma cubica, è interamente decorata con motivi floreali e geometrici, sia all’esterno che all’interno. Gli affreschi e i decori in legno, in ottime condizioni, risalgono al 1833 quando l’edificio fu ricostruito ed ampliato da Abdurahman Pasha. 
Alla sinistra dell’ingresso della stanza della preghiera si trova l’ufficio del custode, dove i turisti possono trovare un paio di pagine ciclostilate in inglese, che raccontano la storia di questo vecchio edificio. 


Poco distante visitiamo il Baba Aratati tekke, un monastero di Dervisi fondato nel 1538 che per oltre centro anni ha ospitato la setta islamica di Bektashi ed è il più interessante restato in Europa. 
All’interno delle mura in pietra vi è un vasto complesso di edifici risalenti al XVIII secolo, tutte le costruzioni sono originali e ben conservate: giardini fioriti, sale di preghiera, saloni da pranzo, alloggi tradizionali ed una splendida fontana marmorea all'interno di un padiglione ligneo. 
Nel cimitero antistante sono custodite le tombe di diversi santi Bektashi. 
Nel 1992 un gruppo di Dervisi Bektashi riprese possesso del monastero, ma nell'agosto del 2002 alcuni membri armati di un gruppo musulmano sunnita invasero il complesso, trasformandone uno degli edifici in moschea ed esponendo fotografie e materiali celebranti l'esercito albanese di liberazione del Kossovo (UCK). Alcune strutture subirono gravi danni e sono tuttora in fase di ricostruzione.



Ci dirigiamo a Galicnick per il pranzo, 25 chilometri a sud di Manrovo ed attraverso una strada secondaria saliamo rapidamente all’interno di un fitto bosco, dove si alternano tratti dritti e tornanti stretti e ripidi. 
In 5 chilometri si raggiungono i 1500 metri. Il panorama cambia radicalmente, è lunare. 
La strada che prima attraversava il bosco, sale dolcemente sino a quota 1700 in mezzo a grandi pascoli alpini, dove la vegetazione è tundra. 
Cammin facendo alcune baracche di pastori che vendono il galicki kaskaval, tipico formaggio della zona. 
Ci troviamo in una sorta di museo all'aperto, dove l’architettura delle abitazioni, i costumi, la cucina, le tradizioni degli antichi villaggi delle montagne macedoni restano gelosamente custoditi. Le vecchie abitazioni con i tetti di pietra scura, i muri che uniscono alle pareti di legno blocchi di roccia bianca sono intatti. 
E' un luogo per gran parte dell’anno silenzioso e letargico, ma il 12 luglio, San Pietro, arriva il momento del risveglio; in tale occasione infatti il villaggio inizia ad animarsi. E’ il giorno del “Matrimonio di Galicnik”, un matrimonio in abiti tradizionali che rappresenta l’evento più importante della piccola comunità locale. La celebrazione, di tradizione secolare, attira persone da ogni parte della Macedonia, ai parenti degli sposi si uniscono turisti e curiosi. Nella notte precedente alle nozze, gli uomini e le donne del villaggio si muovono, impugnando fiaccole, dalla casa dello sposo a quella della sposa e durante il matrimonio, gli uomini ballano il Teskoto, danza che simboleggia il superamento delle difficoltà della vita. 

Giungiamo a Pristina e gli albergatori, ormai amici, ci invitano ad una festa di fidanzamento.
La giovanissima coppia, molto cordiale, parla italiano.


Ci rechiamo a Decani per la visita del monastero e con grande sorpresa troviamo un monaco siciliano che ci fa da dettagliata e preziosa guida per più di due ore, che volano.
Questo luogo ci ha lasciato un profondo, indelebile segno. Visoki Decani infatti è un importante monastero della Chiesa Ortodossa Serba in Kossovo, nei pressi di Pec. La sua chiesa medievale è la più grande dei Balcani e contiene il più vasto affresco bizantino conservato ad oggi: fondato in un castagneto dal re serbo Stefano Decanski nel 1327, ufficialmente tre anni dopo. Quando nel 1331 il re morì, fu sepolto nel monastero, che divenne il suo santuario. 
La costruzione venne proseguita da suo figlio Stefano Dusan fino al 1335, ma la decorazione parietale fu ultimata nel 1350. 
La chiesa, dedicata a Cristo Pantocratore, è in blocchi di marmo rosso-violaceo, giallo e onice e fu eretta da mastri costruttori sotto la guida del frate francescano Vito da Cattaro. 
Si distingue dalle altre chiese serbe contemporanee per le sue dimensioni imponenti e il suo aspetto tipicamente romanico, con famosi affreschi che comprendono all'incirca un migliaio di ritratti, ripercorrono tutti gli episodi principali del Nuovo Testamento. 
Notevoli risultano l'iconostasi lignea originale del XIV secolo, il trono dell'egumeno e il sarcofago di re Stefano, interamente scolpito. 
Dal 2004 il monastero è riconosciuto dall'UNESCO patrimonio dell'umanità  e attualmente è presidiato e protetto dalle Nazioni Unite e dalla KFOR.


A Pec pranziamo lautamente con appena due euro a testa, mentre nella carsia un sapiente artigiano mi ripara la borsa, che a casa mi avrebbero consigliato di buttare.


Ritorniamo a Gracianica, dopo un anno, per una breve visita della cittadina. 
Incontriamo casualmente una scrittrice, che vedendoci forse spaesati o incuriositi da qualcosa ci offre aiuto: ha scritto un libro, tradotto in italiano ed edito da Città del Sole che ci riserviamo di leggere al più presto, Ciò che eravamo.
Radmila Todic Vulic è serba, lavorava a Pristina negli uffici della municipalità, ma poi espropriata di ogni bene è stata trasferita a Gracianica lontano dalla famiglia, che ora vive a Nis e che può riabbracciare soltanto nei fine settimana.


Rientrati in Macedonia trascorriamo qualche piacevole giorno trastullandoci sul lago di Ohrid.
Il clima è piacevole, caldo ma asciutto.
Abbiamo l'onore ed il piacere di conoscere i coniugi Starova e Luan a Struga ci racconta dei suoi bellissimi accattivanti romanzi, soprattutto di quelli non ancora tradotti in italiano e di quelli non ancora pubblicati. 
Lo faccio sorridere raccontandogli che leggendo Il tempo delle capre inizialmente mi ero prefigurata una Skopje davvero invasa da capre e pastori...


In suo onore facciamo il tour del lago, visitando anche la sua città d'origine, Pogradec, uno dei luoghi turistici più eleganti dell'Albania, proprio a causa della sua posizione sul lago dalle acque cristalline, habitat naturale del pesce koran, simile alla trota. Qui la produzione del vino e l'agricoltura sono tradizione in ogni casa.


Gli accenniamo alla nostra intenzione di rivisitare la "greca" Bitola, l'elegante città dei consoli, così denominata essendo centro di notevole importanza sotto il dominio ottomano, quando ospitava un gran numero di sedi diplomatiche delle potenze europee ed ipso facto ci mette in contatto con Kaliopa, sua ex allieva e console onorario di Francia.
La incontriamo in consolato. E' una persona deliziosa, con un nome che le calza a pennello, quello della musa della letteratura appunto, che lei, appassionata ed esperta di Paul Valery, tanto ama; valacca di origine, ma ortodossa sposa di un croato, il cui figlio ha dovuto stabilirsi in Belgio per potersi realizzare professionalmente. E questo la dice lunga sulla diaspora balcanica. 
Pranziamo insieme al ristorante Cous-cous, consumando piatti greci: il gestore ha sposato una francese che insegna all'università cittadina.


Il rientro in patria si avvicina e optiamo di raggiungere Skopje, da dove è prevista la successiva partenza per l'Italia, attraverso la vecchia strada che da Stuga passa per Debar; è più lunga, ma tranquilla e molto panoramica, immersa in foreste secolari e splendidi scenari di montagna.
Debar infatti  è una piccola cittadina circondata dall’omonimo lago e dai monti Desati, Stogovo e Jablanca, che dista dal confine con l’Albania meno di dieci chilometri ed è nota soprattutto per i suoi importanti centri termali. Le sorgenti sono concentrate presso la vicina località di Banjishte e forniscono circa 70 litri d'acqua termale al secondo, alla temperatura di 40 gradi centigradi. Nei centri termali vengono curati reumatismi, malattie della pelle ed ipertensione.

Rientriamo a Venezia in pullman e siamo gli unici italiani.
C'è chi ha l'accento veneziano e lavora nell'edilizia, chi quello vicentino e fa l'artigiano, dei Rom così discreti che sembrano "farsi piccini" per rendersi invisibili agli occhi degli altri compagni di viaggio; perfino un paio di ragazzi che fanno i cuochi nella capitale, proprio dei romani d.o.c., il cui volo seppure già pagato è saltato e che si vedono costretti ad affrontare un viaggio decisamente più lungo, doppiamente costoso dovendosi peraltro giustificare coi titolari diffidenti per il ritardo nel ritorno al lavoro.
La musica turbofolk ascoltata in sordina dall'autista, che assomiglia moltissimo a Kemal Monteno e a sentirselo dire da degli italiani appare imbarazzato ma lusingato e talvolta qualche intenso profumo di cibarie, ci ricordano che siamo partiti dai Balcani. 
Tuttavia non percepiamo quella vivacità ed allegria che contraddistinguono invece questi luoghi: ognuno è ormai già immerso nei propri pensieri e si prepara ad affrontare la quotidianità, spesso problematica se non addirittura crudele, sicuramente più di quanto non fosse previsto al momento seppur difficile dell'emigrazione. 
Una ventina di ore attraverso quattro frontiere: Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia, con controlli sempre più serrati e puntigliosi via via che si arriva in “Europa”. 
E quello che viene da chiedersi è alle porte di quale Europa bussino i Balcani e dove sia quella UE tanto ambita, ma spesso più che altro ostile se non addirittura nemica.

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