martedì 27 gennaio 2009

Per sognare ancora


Pomeriggio del 30 dicembre, fa quasi buio, il clima è tiepido e sono circondata da una vivace tonalità di suoni, colori e profumi, da una vitalità tranquillamente disordinata, inconsueta.
Sono un po' frastornata, avendo iniziato questa lunga giornata all'alba, con partenza dal Marco Polo, per affrontare una nuova, quasi improvvisata avventura.
Ho appena percorso, forse troppo distrattamente, la via principale del suk di Damasco, il bazar al coperto più grande al mondo, secondo soltanto a quello di Istambul e davanti a me, alle porte della moschea degli Omayyadi si stanno svolgendo concitate manifestazioni pro Palestina.
Mi guardo attorno incuriosita, con occhio vago, ingordo cioè di tutto quanto mi circonda; incrocio lo stupendo sguardo chiaro e accattivante di un ragazzo che mi sorride, perché passando ho calpestato la bandiera israeliana, che lui ha disegnato a bella posta, e io ricambio ignara... e questo essere ignari è forse la sola cosa che ci accomuna e che gli procura un evidente compiacimento e simpatia nei miei confronti, non potendo comprendere che io non ho ancora esattamente capito dove mi trovo.
Le parole dell'italiano che mi cammina a fianco “ma cosa hai fatto” rimbombano improvvise nella mia testa e la sua rapida spiegazione mi graffia l'anima catapultandomi nella realtà.
Mio Dio, ma dove sono capitata! Perché mi sono imbarcata in questa, seppur piccola, impresa!
Forse era meglio se come avevo pensato chiedevo un passaggio a qualche amico emigrato in Italia e raggiungevo Belgrado per festeggiare il capodanno fra trg Republike e Kalemegdan.
Sono solo dei flash che balenano tuttavia dolorosamente nella mia testa sembrando eterni ed immutabili, che però ora mi fanno gustare maggiormente un viaggio intenso e meraviglioso, destinato a concludersi dopo soli otto giorni, proprio lì, da dove è partito, nel suk di Damasco: dopo la visita alla Moschea degli Omayyadi, uno dei principali luoghi al mondo del culto musulmano, con uno splendido kebab e sorseggiando un delizioso tè alla menta.
Con uno spirito non proprio propizio, quindi, mi accingo ad intraprendere questo cammino.
Mi sento male all'idea di tutte le ore di pulmino che mi attendono e decido che le trascorrerò documentandomi il più possibile attraverso la lettura del materiale abbondantemente arraffato qua e là prima di partire.
Scopro che il nome Syria è di derivazione greca, ma che un tempo era più diffusa la forma araba, Soria, di cui ormai rimane traccia soltanto nella denominazione “gatto soriano”, visto che il nostro comune gatto di casa era qui assai diffuso allo stato selvatico.
Ma non intendo certamente continuare con descrizioni di questo tipo, o col raccontare pedissequamente il tour, poiché certi dati sono facilmente reperibili attraverso svariate fonti ben più autorevoli e complete, e neppure intendo cercare di imporre al lettore un vissuto, seppur meraviglioso, talmente denso da non essere ancora già completamente interiorizzato.
Voglio tuttavia provare ad abbozzare un piccolo souvenir, traendo almeno qualche piccola curiosità dal mio carnet de voyage e condividerla con gli amici più cari.
Ho potuto godevolmente constatare, ad esempio, come la cucina araba, saporita, raffinata ed assolutamente equilibrata, abbia decisamente influenzato le cucine di tutti i paesi mediterranei.
Con la conquista saracena della Sicilia è sbarcata in Italia la pasta secca, e poi cosa sarebbe la nostra famosa pizza se non un pane arabo (pita) condito con la fantasia partenopea!
Le svariate ed appetitose salse, onnipresenti sulle imbandite tavole siriane, sono proprio all'origine dell'ispirazione e rielaborazione da parte dei grandi chef francesi.
Lo zafferano? Passi la paella valenciana, ma bisogna sapere che persino il risotto alla milanese affonda le proprie radici nella cucina araba, visto che sono stati gli Spagnoli, durante i due secoli della loro dominazione a portare lo zafferano a Milano, a loro volta influenzati dall'occupazione araba della penisola Iberica.
La carne di ovino, poi, così diffusa anche nei Balcani, vanta l'unicità di non diventare nociva neppure se mangiata marcia. Allo stesso modo il baklava resiste molto bene al caldo ed è assai nutriente: pare sia una ricetta risalente addirittura all'VIII sec. a.C. e diffusa, grazie a marinai e mercanti, in diverse varianti, in tutta l'area mediorientale e balcanica.
Più recente la diffusione del caffè turco: le prime caffetterie sarebbero nate alla Mecca nel 1500, per poi giungere a Costantinopoli, in tutto l'impero turco, a Damasco, sbarcando a Venezia nel 1720, con la nascita del celebre caffè Florian.
Non ho invece ricordo di aver degustato il tè alla menta al di fuori del mondo arabo, neppure nei Balcani, e mi chiedo come mai, dato che qui risulta essere la bevanda principale, l'unica a dissetare il viaggiatore anche in pieno deserto e persino a poterlo riscaldare se il clima si facesse improvvisamente rigido, proprio com'è capitato a noi, che abbiamo avuto il privilegio di sperimentare una Siria inaspettatamente fredda e, anche se brevemente, spolverata di neve.
Questa bibita in un certo senso rappresenta il fil rouge del viaggio, avendola sempre bramata e consumata continuamente, quasi a scandire un tempo che via via si accorciava.
Ad esempio ricordo Aleppo, considerata la più antica città del mondo, la più a lungo continuativamente abitata fin da tempi remoti, dove immediatamente all'esterno della medina, dopo esserci soffermati nel caravanserraglio ed aver visitato il vecchio bazar rutilante di oggetti in preziosa filigrana, sete e broccati, ci siamo improvvisati nell'impegnativa arte della contrattazione coi rinomati mercanti del quartiere cristiano; poi, sul far della sera ci siamo infine rifocillati con uno squisito, profumatissimo tè rigorosamente alla menta, al suggestivo lume di candela, visto che la corrente elettrica non è un bene tanto diffuso e scontato in certe zone del mondo.
Oppure durante la nostra ultima serata, prima del rientro in patria.
Non era preventivamente programmato, ma abbiamo deciso di recarci, dopo “l'ultima cena”, in un locale tipico per degustare del tè e per sapere qualcosa sulla famosa danza orientale, una delle più antiche danze al mondo, che simula la fertilità e l'origine della vita mediante movimenti ondulatori del ventre.
Con piacevole sorpresa invece, abbiamo assistito ad uno spettacolo diverso, forse ancora più coinvolgente di quello ambito, che io fino a quel momento conoscevo soltanto attraverso le parole cantate dal mitico Franco Battiato: quello dei dervisci tourneur.
Essi sono discepoli di alcune confraternite islamiche sufi, alla ricerca dell'ascesi salvifica e durante il loro difficile cammino spirituale sono chiamati a distaccare l'animo dalle passioni mondane.
Non a caso in persiano ed arabo “darwish” significa “povero” e in lingua farsi “cercatore di porte”. Essi vivono infatti in mistica povertà alla ricerca del passaggio fra il mondo materiale e quello paradisiaco. Si tratta in pratica di saggi appartenenti a comunità monastiche nelle quali acquisiscono la trasmissione dei misteri attraverso una antichissima danza sacra. Chi è ammesso a tale esercizio riceve un insegnamento speciale che richiede una lunga preparazione con tecniche molto raffinate. Sapienti monaci addestrano i discepoli per anni, impartendo loro esercizi che li vedono assolutamente immobili per svariate ore, mentre effettuano particolari operazioni mentali in un determinato ordine, per poter raggiungere finalmente la capacità di roteare nella danza sufi, che, tramandata di generazione in generazione, equivale quindi ai libri in cui leggere gli antichi misteri.
La danza turbinante esposta pubblicamente è soltanto una forma incompleta rispetto a quella prettamente religiosa, ma è comunque molto coinvolgente. Si riesce ad intuire come il derviscio roteando rappresenti nello spettacolo un particolare esercizio interiore, in totale coordinazione fisica ed equilibrio mentale, ed accelerando costantemente la frequenza del ritmo di lavoro rappresenti la cosiddetta “Comunione con Allah”. Anche se talvolta i dervisci sono soltanto dei danzatori che inscenano spettacoli turistici sanno indubbiamente donare agli spettatori sensazioni forti ed emozionanti e soprattutto possono far riflettere su una fondamentale differenza fra come si viva la religione ad Oriente, rispetto ad Occidente. Qui infatti il corpo è il punto di partenza, la religione assume un carattere più fisico: in questa parte di mondo si sviluppò la cosiddetta religione del “pensiero”, mentre ad Occidente prevalse quella fondata sulla Fede, ovvero sul “sentimento” e forse è proprio da questa differenza che nascono tante e vaste incomprensioni fra i popoli.
E sulla scia di questi pensieri si è praticamente concluso questo viaggio siriano, nella moschea degli Omayyadi, visitando la tomba dove si venera la testa di San Giovanni Battista.
Si narra che durante un soggiorno a Roma Erode Antipa intrecciò una relazione con la cognata Erodiade, conducendola poi con sé in Galilea per sposarla. Fu un vero scandalo, essendo la cosa proibita dalla legge mosaica, tanto più che Giovanni predicando rimproverava tale illecita relazione. Il re allora lo fece arrestare, ma si oppose alle richieste della moglie che lo voleva morto. Tuttavia durante una festa la figlia di Erodiade, Salomè, si esibì in una danza talmente gradita ad Erode da indurlo a giurare di darle in premio qualsiasi cosa ella avesse chiesto. La giovane donna volle la testa di Giovanni Battista su un piatto d'argento e la ottenne perché il patrigno non poté venir meno al giuramento fatto. Così da allora il Battista è noto anche come Decollato.
La cosa più triste è che tale scempio, come troppo spesso avviene, fu dettato da motivi futili, semplicemente da una insana passione che Salomè, invaghita e respinta, nutriva per Giovanni.
Il viaggio volge ormai al termine, dunque, e dovrei forse provare lo stesso sottile fastidio che mi accompagnò all'inizio di questa avventura, ma il mio spirito risulta come rinnovato, arricchito da tante, tantissime cose, è ormai più esperto e mi rendo conto che nonostante tutto la vita continua sempre ad andare avanti, il che deve per forza significare che il bene è sempre destinato a trionfare sul male, che esiste indubbiamente qualcosa che, da sempre, muove e che da senso al mondo, a Oriente come ad Occidente e quel qualcosa, qualsiasi cosa sia è la stessa, ovunque e per chiunque.
E davanti all'ultimo tè fumante, che sorseggio ancora più lentamente del solito, come per cercare inutilmente di rallentare l'inesorabile scorrere del tempo, mi sorge spontaneo ed inaspettato un particolare sorriso: mi rendo conto per la prima volta che il nostro tour operator ha un nome bellissimo ed assolutamente attinente ai miei pensieri: Sharazad, come la protagonista delle fiabe della mia infanzia, Le mille e una notte, che ora rileggo in chiave diversa.
Sharazad, infatti, è proprio il simbolo della forza, dell'intelligenza, del fascino della parola e del potere di seduzione che procura il riuscire a generare e conservare vivo l'amore, nonostante tutto.

8 commenti:

  1. bello, brava, complimenti!
    buon blog allora...
    matteo

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  2. Ok, ti sei persa un capodanno a Belgrado...ma così ci hai sorpreso con questo bellissimo racconto e con delle foto fantastiche.
    Complimenti per questo blog e buon divertimento!
    Francesca

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  3. Siete troppo buoni.. Grazie per l'incoraggiamento.

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  4. ciao Rita, visto che mi hai lasciato il tuo link, sono passata anch'io a trovarti...veramente molto bello il tuo post....e certo verrò spesso a trovarti....Najim

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  5. Oih.. allora dovrò darmi da fare, cara Naim.. Grazie.

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  6. benvenuta in questa avventura !!
    non per scoraggiarti all'inizio, ma io ho messo su 4 kg per stare sempre seduta a fare post..
    magari a te stanno anche bene perchè sei magra !!!
    mi fa tanto piacere che sei viva on line !!!
    lina
    cmokic' !

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  7. complimenti per il nome del blog e per le belle note di viaggio, a un tè ad Aleppo quindi...
    Ciao
    Mario

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  8. Grazie Lina.. Mi sa allora che i 7 kg che dovrei smaltire in realtà aumenteranno ;-(( ..a meno che la mia "produzione" nn resti modestissima..

    Grazie Mario!
    Il nome?? mmm.. in realtà è casuale e dettato dalla "disperazione" visto che i nomi "seri" che preferivo li avevano già sgraffignati...
    ..Mi sa che quando ti vedo te lo offro qui un te.. devo solo procurare una piantina di menta da tenere sulla mia finestrella..

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